Bruno Tognolini
CANTOPARLANTE
Romanzo piccolo per i piccoli
Illustrazioni di ALICE CALDARELLA
GIUNTI, Collana Colibrì, 2017

Brossura con bandelle, 14 x 20 cm, 160 pagine, EURO 8,90

Questo libro è una specie di continuazione in storia e avventura dei miei incontri su RIME e FILASTROCCHE.
La sua lettura può essere affiancata a quegli incontri.




Le parole sono importanti.
Bisogna curarle come bestiole, non lasciarle morire.
Le parole sono potenti.
Hanno poteri, se sono usate bene fanno bene.
Le parole in rima e metro son fatate.
Hanno superpoteri. Bisogna conservarle, non perderle mai.
Perché una buona filastrocca in tasca
ti tira fuori da diversi guai.



PRESENTAZIONI
  • Testi e immagini di copertina
  • Una storia che racconta di filastrocche
  • Come ho fatto a convincere il Professore
  • L'onore d'essere ammessi nelle lingue bambine
  • Specchiarsi nel racconto: lo SNAP! delle sinapsi
  • Serve a scuola perché non vuol servire

  • TRE ASSAGGI
  • Come tutto cominciò
  • Una buona conta risolve molte cose
  • Ma poi le cose si mettono male...



  • Il libro può essere acquistato online presso






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    TESTI E IMMAGINI DI COPERTINA







    All'indice



    UNA STORIA CHE RACCONTA DI FILASTROCCHE


    Da cinquant'anni COMPONGO rime, poesie e filastrocche.
    Ne ho scritte circa 1300: per i libri, ma anche per la TV (Melevisione), il teatro, i festival e tante altre occasioni in cui a volte si perdono e non rimangono su carta.
    I libri su cui sono scritte le prime sono elencati qui (nella colonna a sinistra). Alcune fra le seconde, quelle scappate dai libri, sono qui.

    Da trent'anni DICO rime e filastrocche.
    Le dico girando per scuole e biblioteche d'Italia, in mille incontri coi bambini e con i grandi. Dico le mie e, sempre più spesso negli ultimi anni, chiedo ai bambini le loro: le conte, battimani, tiritere e scioglilingua, in tutti i dialetti d'Italia e - poiché molte scuole d'Italia sono il mondo - in tutte le lingue del mondo. E se son belle, le registro e le conservo.
    Ed eccone qui alcune.

    Da venti anni PARLO DI rime e filastrocche.
    Ne parlo nei miei corsi e seminari e incontri e master class con i grandi: insegnanti, studenti, studiosi, educatori o semplici lettori. Difendo e dimostro con molti esempi la loro bellezza e utilità: perché quando sono belle sono utili, quando sono fatte bene fanno bene.
    Ecco qui titoli e schede di questi incontri.

    Da venti anni infine SCRIVO SU rime e filastrocche.
    Scrivo saggi, ragionamenti, articoli, interviste, che all'inizio venivano in mente a me, e poi pian piano mi venivano (e mi vengono) richiesti, da giornali e riviste di carta e di web, così spesso che a volte non so proprio cosa scrivere di nuovo.
    Ecco dove trovare questi articoli (sempre colonna di sinistra).

    E insomma, COMPONGO, DICO, PARLO DI e SCRIVO SU le filastrocche... Che cosa mancava?
    IL RACCONTO.
    Le compongo, le dico, ne parlo, ne scrivo, ma non le avevo mai raccontate. Non avevo mai scritto una storia che racconta di filastrocche. E non parlo di una storia scritta in rime: parlo di rime e filastrocche protagoniste di una storia. Una storia in cui accadono cose strane e pericolose e buffe e magiche a due bambini e ad alcuni loro amici (e nemici), e le filastrocche sono causa, arma, strumento e rimedio di queste cose.
    Ecco, ora l'ho scritta: è la storia di CANTOPARLANTE.

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    COME HO FATTO A CONVINCERE IL PROFESSORE

    Ho conosciuto Tullio De Mauro nel 2012. Mai di persona, purtroppo, solo per scambio di mail. Mi era stata chiesta una filastrocca per celebrare i suoi 80 anni: l'ho scritta (eccola fra le Rime d'Occasione), gli è stata donata il giorno del suo compleanno, l'ha apprezzata e m'ha mandato una mail per ringraziarmi. Ne è nata una breve corrispondenza, coronata dal suo permesso di far stampare in una fascetta gialla per RIME DI RABBIA un bel complimento che m'aveva fatto in una di quelle lettere: che le mie filastrocche, cioè, sarebbero "degne del miglior Rodari".
    Tanto più, per questa sua grande stima del mio lavoro, mi rimordeva una piccola ombra, che appena appannava la mia immensa stima del suo. Nel comporre la mia master class su rime e filastrocche intitolata L'UCCELLO CON TRE ALI, avevo cercato e trovato nel Dizionario della Lingua Italiana che porta la sua firma questa definizione:

    "FILASTROCCA: composizione cadenzata con versi brevi, rimati o in assonanza, solitamente priva di senso compiuto, recitata o cantata spec. per divertire o far addormentare i bambini" "Priva di senso compiuto"?
    Non era convinto, non ero d'accordo e non ero contento. Mi dispiaceva un po' che proprio lui, amico di Rodari, avesse definito la filastrocca così: e impegnavo una buona metà di quella lezione (un intenso seminario audiovisivo per insegnanti) nel raccontare la Seconda Ala, il Senso, di cui le filastrocche sono invece a mio parere ricche sfondate (quando sono "fatte bene", naturalmente, da bambini o da grandi che sia).
    E allora? Cosa c'entra tutto questo con CANTOPARLANTE?
    C'entra eccome. Desideravo un tempo, un posto, un'occasione per convincere il Professor Tullio De Mauro che le filastrocche sono tutt'altro che "prive di senso compiuto". Quell'occasione non c'è stata, pochi anni dopo Tullio De Mauro è morto, e ora non ci sarà più.
    Ma uno scrittore non si scoraggia: può crearle lui, sulla carta, nell'aria, nella vita immaginaria, le occasioni che non accadono nel mondo. Ed ecco che i miei due bambini Cercatori del Martedì Perduto, Anna e Zeno, nel Regno di Cantoparlante incontreranno il Professor Giulio Mamauro, con sottobraccio il suo Vocabolauro, in missione anche lui in quel regno in cerca delle Parole Perdute. E lì finalmente, se non il Professor Tullio De Mauro, il suo burattino/avatar Giulio Mamauro... si convincerà.

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    L'ONORE DI ESSERE AMMESSI NELLE LINGUE BAMBINE

    Giorgia Silvestri, maestra in una scuola primaria romagnola, m'aveva mandato disegni e filastrocche composte dai suoi allunnetti di seconda dopo la lettura in classe di CANTOPARLANTE (di seconda: ecco come, se ben guidato, questo libro può andare in giù nelle famose fasce d'età). Le avevo risposto con lodi e informazioni e materiali per altre escursioni (il link a questa pagina). Mi ha scritto di nuovo così:
    Grazie di cuore per aver risposto, non vedo l'ora che sia domani per leggere la sua risposta ai bambini che hanno amato immensamente il fantastico mondo di Cantoparlante, tanto che senza che io l'abbia richiesto l'hanno preso tutti! E' un libro carico di magia, quella buona, sana, di cui, per quanto qualcuno lo neghi, abbiamo bisogno tutti. Il linguaggio arriva immediatamente e i bambini spontaneamente utilizzano, per esempio, la parola "microniente" come sinonimo di una cosa microscopica: ormai è entrata nel loro linguaggio quotidiano ed io considero questa cosa bellissima e preziosa: GRAZIE! Doveva vedere le loro facce quando hanno capito qual era la filastrocca che avrebbe salvato Anna e Zeno. Leggere nei loro occhi la soddisfazione per esserci arrivati è stato davvero emozionante, avrebbe dovuto sentirli come la urlavano per far paralizzare la strega... Sono quei momenti in cui ci si ritiene onorati di fare questo mestiere...
    Le ho risposto a mia volta in due tempi, con tre post pubblici su Facebook in due giorni.
    In questo primo la ringrazio per il grande onore, di cui mi dà notizia, d'essere stato ammesso con due parole di quel libro nelle lingue bambine della sua classe
    .
    E io, negli stessi momenti, onorato di fare il mio.
    Io adoro - e colleziono quando posso - i lessici tribali dei bambini, le piccole splendenti koiné di famiglia, di cortile, di classe, che risanano e ingagliardiscono la nostra lingua impoverita dalle tontolalìe degli adulti. E che una o più parole di un mio libro vengano ammesse in queste nobili lingue locali sane e fulgenti è per me un minuscolo Premio Strega ad honorem. Chissà come ne sarebbe stato contento anche il "Professor Giulio Mamauro", che da quel libro, e dal lessico infinito astrale in cui ora è migrato, ci guarda tutti sorridendo e sogghignando.

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    SPECCHIARSI NEL RACCONTO. LO SNAP! DELLE SINAPSI

    Ma sentivo di non aver finito i ringraziamenti alla maestra Giorgia Silvestri, e le riflessioni su ciò che la sua lettera m'aveva rivelato, raccontandomi in poche righe l'accoglienza che i suoi alunni avevano riservato a Cantoparlante. Per l'esattezza in queste due righe:
    Doveva vedere le loro facce quando hanno capito qual era la filastrocca che avrebbe salvato Anna e Zeno. Leggere nei loro occhi la soddisfazione per esserci arrivati è stato davvero emozionante, avrebbe dovuto sentirli come la urlavano per far paralizzare la strega...
    Ed ecco queste riflessioni, in un secondo post, il giorno dopo.
    "Dovevo vedere le loro facce", sì.
    Vorrei davvero essere una mosca, pensavo mentre scrivevo questo libro, e soprattutto quelle pagine. Una mosca nella casa di un bambino che legge da solo per vedere la sua faccia, o in una classe che legge insieme per vedere le loro, "quando capiscono", come scrive la maestra Giorgia, che a sbirciare quando le facce capiscono è ben addestrata.
    Quando capiscono cosa?
    Ciò che io ho apparechiato per loro. La via nel labirinto. La caccia al tesoro. La sorpresa dietro l'angolo. La sciarada. E mentre la progettavo, con graduale trattenuta pazienza, mi dicevo: chissà che faccia faranno... qui... qui... e poi qui!
    Veramente la scrittura è una danza di corteggiamento, una giga d'amore, una capoeira di lotta, un semplice nascondino puerile fra autore e lettore. Io ho tramato questo arazzo labirinto per te, ora ti aspetto nascosto negli angoli per vedere la tua faccia quando capirai...
    Ma non la vedo quella faccia, e quindi tre volte preziosi mi sono i racconti della maestra Giorgia, che ha visto e mi dice.
    Mi dice che è accaduto proprio ciò che io mi auguravo; ma non basta, prevedevo; ma non basta, progettavo. Ho progettato, prefigurato e premeditato quel progressivo minaccioso avvicinamento a una prova finale, e poi la sua risoluzione. Altre prove e peripezie fino a quel punto erano state risolte con filastrocche (che se risolvono sono formule magiche) tratte dall'esperienza quotidiana di gioco dei bambini: conte e rime battimani condivise. Disseminavo intenzionalmente elementi noti e concreti della loro vita reale, incastonati ad arte in un contesto di narrazione fiabesca fantasy e fantastica sfrenata. Azzardando il principio del contrasto, dell'ossimoro: non segno su segno (in fiaba parole di fiaba, a scuola parole di scuola), ma segno contro segno (in fiaba parole di scuola, o di cortile: "Mi chiamo Renzo Lorenzo..."). Tessendo e ricamando con la tutta la maestria di cui sono capace perché l'arazzo sia forte e tenace, che questa tensione fra ambiti verbali lontani non l'abbia a strappare, facendo cadere l'incanto. Perché se invece tiene... se tiene è fatta.
    Se tiene il bambino lettore si troverà portato dall'onda della storia su un ciglio rischioso; dove devono scaturire risorse di salvazione, forze magiche tanto potenti quanto malvagio è il nemico, la strega che sta uccidendo gli amati eroi; e quanto aliene, quanto distanti da lui dovranno mai essere queste magiche forze? E invece ecco, su quel ciglio d'emozione i bambini vedranno scaturire goccia a goccia... sillaba dopo sillaba... che ancora non si capisce, ma sembra... cosa? Possibile che sia proprio lei, quella filastrocca? LA LORO? Quella che usano loro nel cortile di scuola? Aspettiamo, vediamo un po'... SÌ! È LA NOSTRA!!!
    SNAP!, fanno le sinapsi. Si sentono quasi scattare, acchiapparsi i rametti, abbracciarsi.
    Questo racconto mi ha portato lontano da me, e così lontano, laggiù ora trovo... qualcosa di me? Qualcosa di casa, qui nella fiaba? - (sigrave;, esatto: qualcosa che, se la mescola riesce, dipinge di fiaba la casa, e di casa la fiaba) - Qualcosa di mio, ma non solo di mio, anche... di bello! Che mi piace, che mi piace dire! La so la formula che risolve questa storia, l'ho detta tante volte, mi piace saperla e dirla - (e non a caso ho scelto per questo finale una delle tiritere più belle e note e da me sommamente invidiate dei Carmina Puerilia d'Italia) - mi piace dirla e allora ecco, insieme ad Anna, un po' incerto, titubante come lei, la prima strofetta la dico anch'io; e poi col suo amico Zeno, con altri due o tre di classe, più sicuri la seconda; e poi con tutti gli altri personaggi la quarta e la quinta; e con tutta la classe intera, qui quella vera, la mia, e laggiù nel libro la classe narrata, e alla fine con tutti i bambini della città e del mondo, gridata!...
    Una mosca veramente vorrei essere, per sentire e vedere se davvero accade questo, che ho preparato. Quel ponte d'oro che ho nascosto lì, perché al momento giusto appaia splendente fra io e il mondo, fra fiaba e realtà fra le mie due mezze mele della mente.
    Ma una mosca non sono, mannaggia, e quindi tre volte grazie a maestra Giorgia, e beata lei e tutte le altre che saranno lì ogni volta, e vedranno rinovarsi un'antichissima semplice e smisurata magia: la danza d'incanto fra un libro e i suoi lettori.

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    SERVE A SCUOLA PERCHÉ NON VUOL SERVIRE

    Ma Giorgia, la maestra della seconda romagnola, m'ha scritto ancora, e ciò che scriveva era di nuovo così importante da meritare un altro commento.
    (...) credo che quando i bambini si innamorano di un storia e dei suoi personaggi, riescano poi a tirar fuori anche l'introvabile, "l'inaspettato tanto atteso". Cantoparlante è un tesoro per noi insegnanti, è uno scrigno zeppo di spunti originalissimi. Non posso non dirtelo: la lingua pomodora si è rivelata una fantastica trovata per imparare a dividere le parole in sillabe. La mucca UOAIE l'abbiamo usata per nutrire quelle che per loro sono le più belle parole da non perdere mai; e le Vespie Sugavocali le hanno utilizzate per far sparire quelle brutte o che fan paura...
    Le ho risposto a mia volta, con un terzo post su Facebook, così.
    "... una fantastica trovata per imparare...", "l'abbiamo usata per nutrire...", "le hanno utilizzate per far sparire...".
    Usare, utilizzare storie e poesie per imparare. Certo che si può fare. L'uomo l'ha sempre fatto: l'Odissea intera pare fosse una scusa narrativa, un pretesto per tenere a mente, a memoria quando non c'era la scrittura, precetti, norme, usi, tecniche di produzione di vino e olio e costruzione delle navi. Insomma, una bellissima storia come pretesto per un'enciclopedia. E funziona, ha funzionato per millenni. Ma perché, quando funziona? Quando la macchinetta gira anche al contrario, nei due versi, come un bel mandala yin e yang: una bella storia è un buon pretesto per imparare, e imparare è un buon pretesto per una bella storia. Così la ruota mandala gira, e la storia va: e la memoria dietro.
    Una storia può servire per imparare, ma a un patto: che non sia scritta per servire, altrimenti si sente servetta, e si comporta come tale, non da regina.
    Un altro esempio da un altro libro. IL GHIRIBIZZO (Motta Junior) è un libro che a suo modo parla di un tema sensibile per le scuole: la ADHD, i bambini iperattivi, ingestibili e (in forme rimosse e nascoste) il Ritalin e i farmaci di sedazione. Ma... C'è un grandissimo MA che fa la differenza: quel libro non è partito per parlare e narrare "di questo", ma "d'altro". E per l'esattezza della parola "ghiribizzo", che m'era saltata in mente all'improvviso, così bella e sonora che meritava d'essere un titolo, anzi un libro, anzi un personaggio. Il resto è venuto da sé.
    Ho virgolettato e sottolineato le due locuzioni "di questo" e "d'altro" perché per me sono specchi di riflessione da quarant'anni. Un poema di Majakovskij, che veneravo, aveva per titolo "DI QUESTO", e intendeva: sì, la poesia parlerà proprio di questo, della rivoluzione bolscevica (ma insieme a tanto altro, e a suo fiammante modo, naturalmente). Io stesso invece, in quegli stessi anni, mi prescrivevo inconsciamente un compito in apparenza opposto, salmodiandolo in una frase oracolare, nata solo perché suonava bene, e inserita come un mantra-tormentone in un romanzetto precoce, acerbo e per fortuna inedito; che suonava così: "PARLARE D’ALTRO MERAVIGLIOSAMENTE".
    Solo ora, dopo decadi di lavoro, l'ho capito: non erano affatto due compiti contrari, ma a sorpresa concordi, che alla fine convergevano così: se si riesce a "parlare d'altro meravigliosamente" si può finire in qualche modo per parlare anche "di questo".
    E parlarne bene, in modo da essere ascoltati. Se si è fortunati e addestrati dall'esperienza, capaci di parlar d'altro ma tenendosi magari un po' in zona, non del tutto altrove, fischiettando, facendo finta di niente, guardando con la coda dell'occhio... allora si parlerà anche di questo: del questo che può servire a noi qui, in questa cultura (Omero), in questa corte (Ariosto), in questa chiesa (Michelangelo), e magari, noi scrittori piccolini, in questa classe di piccolini, perché imparino anche sognando e ridendo un poco.
    Ecco allora, Giorgia, ecco maestre: una storia, una poesia, una filastrocca, può servire a scuola proprio quando e perché non vuole servire. Perché non è stata scritta per servire, altrimenti è servetta. È stata scritta per il piacere non per il dovere; per la bellezza non per l'utilità. O tutt'al più partendo dalla bellezza e dirigendo il passo, senza sembrare, fischiettando, verso l'utilità. Parlando d'altro meravigliosamente.

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    ASSAGGI. Come tutto cominciò
    Di nuovo lunedì!
    Capitolo 1, pag. 5.

    Un martedì di novembre, di prima mattina, Anna si accorse che era di nuovo lunedì.
    S’era svegliata come al solito alle sette, con la sveglia che suonava musichette, e poco a poco aveva cominciato a capirlo. Prima da piccole cose: nella TV in cucina il cartone della colazione era quello del lunedì; la mamma trafficava con la lista della spesa grande, che si fa il lunedì; la radiosveglia segnava lunedì, ma quella poteva essersi incantata. Alla fine però lo disse chiaro la signora del meteo in TV:
    «Oggi, lunedì 10 novembre, il tempo sull’Italia...»
    Come lunedì!?! Ieri era lunedì, ne era certa!
    A scuola avevano fatto le cose del lunedì, era tornata, era passata la giornata, era venuta notte, aveva dormito, s’era svegliata e... non era domani, era ancora ieri!
    O meglio... era oggi, ma non oggi il domani di ieri, era... oh, insomma: era ancora lunedì!
    Come ieri! E come poteva essere? Non era per caso lei che stava sbagliando?
    Andò ad aprire il quadernone di italiano. Ultima pagina, scritta ieri, in cima: “lunedì 9 novembre 2016”. Non stava sbagliando lei, ma qualcun altro. O qualcos’altro.
    «Anna» gridò la mamma dalla sua camera, «è pronta la tazza per Zeno?»
    Suonò il campanello. Era Zeno, il suo amico di giochi, di pianerottolo e di scuola, ma non di classe. Veniva a far colazione con lei nei giorni in cui tutti e due i genitori dovevano uscire presto per lavoro.
    Bastò ai due bambini uno sguardo per sapere che entrambi s’erano accorti di quella stranezza, mentre i grandi e tutti gli altri pare di no. Rimandarono il discorso a poco dopo e fecero zitti zitti colazione.
    Dall’altra stanza venne una voce tremolante.
    «Mio-nena, mio-nena, na-niooo».
    I due bambini levarono gli occhi e si sorrisero.

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    ASSAGGI. Una buona conta risolve molte cose
    La palude
    Capitolo 6, pag. 55.

    Arrivarono a una palude puzzolente, con paurose sabbie mobili che ribollivano facendo brutti rumori, puzze e nebbie.
    Sul fango serpeggiava un sentiero sottile, appena visibile, che ogni tanto spariva del tutto. Pareva proprio l’unico passaggio, ma i cinque amici erano incerti, intimoriti, e nessuno si decideva a passarci per primo.
    I bambini sanno bene cosa serve in questi casi, e Anna propose subito una buona conta. Ma il Professore protestò:
    «Una conta? Affidare la nostra sorte a una filastrocca? Ma quando mai! Le filastrocche son cose senza senso. L’ho scritto anche nel mio Vocabolauro. Sentite…»
    Tirò fuori dalla borsa il librone, sfogliò, trovò, e lesse con voce da professore:
    «Filastrocca: composizione cadenzata con versi brevi e rimati, solitamente priva di senso compiuto, recitata o cantata per divertire o far dormire i bambini».
    «Divertire e dormire? E ti sembrano cose senza senso?» chiese Zeno.
    «E comunque non c’è tempo per discussioni» tagliò corto Anna. «Mettiamo ai voti».
    Si votò, e a maggioranza si decise per la conta.
    Si misero in cerchio e Anna, segnando col dito, recitò:
    «Nella palude
    Ci son due donne nude
    Uffa che gamba
    Che puzza di mutanda
    Lavate, stirate
    La puzza non c’è più
    Sul-sen-tie-ro-ci-vai-tu!»
    Uscì proprio il Professore.
    Forse voleva protestare, ma tanto e tanto rideva per quella conta, che continuando a dire «Nella palude, ci son due donne nude», e ridere e ridere, si incamminò per il sentiero. Chissà, forse sperava di trovarcele davvero le donne nude: s’era scordato che era una filastrocca priva di senso?
    Fatto sta che arrivò sano e salvo dall’altra parte, e da lì fece segni con le braccia.
    Allora tutti, rassicurati, percorsero il sentiero. E superata la palude ripartirono.

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    ASSAGGI. Ma poi le cose si mettono male...
    Il maleficio della Strega Mangialingua
    Capitolo 10, pag. 99.

    La Strega lentamente si alzò, e sfregandosi le bianche e lisce mani umane con le nere e pelose zampe di vespia strisciava verso di loro.
    «Gli umani stavolta se ne sono accorti» proseguì, «che mancava una parola. Eccome!
    E qualcuno è perfino venuto fin qui a cercarla. Ma chi? Due stupidi bambini presuntuosi e un professore vecchio e rimbambito, figurarsi che campioni! Insieme a due traditori del nostro Regno, che vi hanno fatto entrare: un ragnetto che neanche si vede e parla troppo, e un gigantio bambino che storpia le parole.
    E ora eccovi qui, tutti e cinque, pronti per il mio pranzetto.
    Chissà che buon sapore avranno i vostri nomi, e con loro le vostre vite! Tutte le mille paroline saporite che avrete detto in migliaia di mattine...
    Basta! è finita la vostra missione, cercatori di parole perdute! Avete perso!»
    La Strega levò alte le mani cariche di maleficio e masticandosi la lingua gridò forte:
    «Sono la Strega Mangialingua, e mangio la parola… ANNA!»
    Anna si sentì debole, paralizzata, e il suo corpo cominciò a rinsecchire. Zeno la guardò disperato, la toccò, la scosse, cominciò a piangere, ma non ebbe il tempo di fare altro.
    «Sono la Strega Mangialingua e mangio la parola… ZENO!»
    Il bambino si bloccò, paralizzato. Il Professore cominciò a gridare minacce, ma fu vano.
    «Sono la Strega Mangialingua e mangio le parole… GIULIO MAMAURO!»
    Il ragnetto si voltò e provò a fuggire in cerca di qualche aiuto, ma non poté.
    «Sono la Strega Mangialingua e mangio la parola… DIDI MICRONIENTE!»
    Il gigantio si scagliò con tutta la sua forza e statura contro l’orribile Strega-vespia, che era alta metà di lui, ma ahimè più potente.
    «Sono la Strega Mangialingua e mangio la parola… LULU GIGAGRANDE!»
    Anche il gigantio si fermò, e fu silenzio.

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    COME VA AVANTI? COME VA A FINIRE?

    Chi era che diceva «Mio-nena, mio-nena, na-niooo»? E perchè i due bambini sorridevano?
    Cosa trovarono oltre la Palude?
    Cosa accadde con l'incantesimo della Strega? Riuscirono a liberarsi?

    Come andò avanti e come finì, chi lo vorrà potrà leggerlo qui:



    Questa pagina è stata creata (tardivamente) il 18 agosto 2017 e aggiornata l'ultima volta il 27 febbraio 2018


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